BPCO: COME CI SIAMO INCONTRATI – dott.ssa Maddalena Chizzolini

BPCO: COME CI SIAMO INCONTRATI – dott.ssa Maddalena Chizzolini

Con l’occasione della BPCO Week 2023, abbiamo deciso di portare le esperienze dirette delle persone che, da una parte e dell’altra, hanno affrontato e affrontano ogni giorno la propria battaglia contro la Broncopneumopatia cronica ostruttiva.

E vogliamo cominciare proprio dall’inizio, con una storia raccontata di proprio pugno proprio dalla dott.ssa Maddalena Chizzolini, referente della UOS di Riabilitazione Pneumologica di ORAS, che da quasi dieci anni è vicina alle persone che combattono contro questa malattia.

 

COME CI SIAMO INCONTRATI

Lasciate che vi racconti una storia…

Era il 2014 quando una me molto più giovane che arrivava da Padova veniva assunta a Motta di Livenza. La prima volta che sono venuta in auto non sapevo nemmeno che esistesse una città con questo nome, ma ricordo bene perché avevo scelto questo posto: credevo fermamente nella riabilitazione e che ridare autonomia ai pazienti restituisse dignità alle loro vite.

Ricordo le nostre prime visite, il primo impatto che la maggior parte di voi pazienti aveva vedendomi veniva scandito inesorabilmente da qualche perplessità, diffidenza e da frasi come “così giovane già dottoressa”, “già specialista?”, ed io, ringraziando mentalmente il mio corredo genico che ringiovaniva i miei 35 anni suonati, un po’ indispettita dal preconcetto che il mestiere del medico fosse appannaggio dei capelli bianchi, con pazienza e umiltà cominciavo la visita.

Sarà perché mi vedevate giovane, o magari perché le visite sforavano sempre i 20 minuti canonici che la sanità elargisce ai medici per prendersi cura dei loro malati, o forse ancora perché in riabilitazione ci si vedeva un po’ tutti i giorni, voi cominciavate a sentirvi liberi di raccontare la vostra malattia e io cominciavo ad ascoltare, comprendere e farne tesoro. Così scrivevo e annotavo con diligenza da dattilografa perché non volevo perdere importanti informazioni.

Tra le tante carte che si compilano per la burocrazia, la visita, la ricognizione delle medicine, eccetera, un minuto da dedicare a qualche argomento a vostra scelta, un attimo di attenzione a quello che siete e non al sintomo lamentato ci aiutava a stabilire un punto di comunione.

Ogni tanto si divagava con qualche racconto sul vostro lavoro: parlavo con F. che si ammalò di saturnismo in una fabbrica di ceramiche, con A. che mi raccontò dei suoi anni in miniera in Belgio, con G. giramondo per lavoro e passione, e O. nella fabbrica di cotone.

A volte mi raccontavate di come trascorrevate il tempo libero ed essendo un paese di campagna per molti di voi c’era l’orto, molti di voi erano anche abbronzati per le molte ore trascorse all’aperto e perché i pomodori in stagione crescono ogni giorno e hanno bisogno di acqua e di cure.

Poi c’erano le vostre amicizie e il fatto che chi non aveva la vostra patologia non riusciva a capirvi, di come vi sentivate limitati nelle vostre attività sociali, fosse anche andare al bar o a fare la spesa. Poi c’erano i vostri nipoti, grande capitolo di quest’epoca di genitori che lavorano tanto e di nonni che devono per forza rimanere attivi per fare da babysitter, ‘ma dottoressa molto spesso hanno il moccolo al naso e a loro passa subito ma a me viene la bronchite e non respiro, lo so che dovrei stare lontana da loro se hanno la febbre ma poi mia figlia come fa con il lavoro? e poi come si fa a stare lontani da quei piccoli fagotti che vogliono dare i bacini alla loro nonna? Lei deve guarirmi!

Poi c’era la confidenza detta ad occhi bassi, sa dottoressa io vorrei ancora fare l’amore con mia moglie ma mi manca il fiato.

Poi c’era il problema del fumo e il desiderio di smettere ogni giorno e ogni giorno puntualmente rimandato a quello successivo per mille motivi (sennò ammazzo qualcuno, mi sono sentita triste, mi aiuta a calmarmi, è la mia unica compagnia).

A volte i racconti esulavano dalla malattia prendevano dentro la vostra famiglia, i figli, le preoccupazioni, i compagni malati, l’enorme paura di essere di peso per i vostri cari.

A volte raccontavate una barzelletta e ci scappava una risata, a volte raccontavate i vostri supplizi nel vedere che perfino farsi la barba era un’impresa gigantesca e ci scappava una lacrima.

Credetemi se vi dico che ogni vostra cartella magicamente aveva un volto, ogni spirometria una storia, ogni test del cammino parlava di emozioni.

Così il momento del nostro incontro andava al di là dell’anamnesi e dei dati funzionali, nascondeva desideri, costruiva progetti per il futuro, dichiarava speranze, parlava di viaggi e sogni nel cassetto, e la riabilitazione, grazie al vostro impegno e lavoro, diventava lo strumento per rendere tutto questo anche solo pensabile.

E’ così che voi avete smesso di essere pazienti, eravate persone che cercavano risposte, aiuto, comprensione, anche solo una semplice pacca sulla spalla come a dire “lo vedo quanto ti costa venire ad allenarti e hai tutto il mio sostegno”.

In una sessione di ambulatorio come tante, fatta di pazienti in sala d’attesa aspettano il loro turno, chi legge, chi mette a posto i suoi documenti, chi chiacchiera, un evento in particolare ha piantato un seme…

Entra a visita la signora G. 65 anni, professoressa di inglese in pensione, magrolina, gentile, con lei gli anni scorsi abbiamo combattuto insieme una battaglia che non dimentico, la dipendenza del fumo, e abbiamo vinto. Lei soffre di BPCO severa con insufficienza respiratoria, la dispnea è il suo male perché le genera una profondissima ansia e attacchi di panico.

Quando entra nel mio ambulatorio mi dice col volto illuminato “dottoressa sarei stata ore in sala d’attesa a parlare con Andrea un signore che soffre anche lui di BPCO perché io parlavo e lui mi capiva, io dicevo come mi sento quando non mi viene il fiato e lui lo sapeva già. Vede io posso stare ore a parlare con lei, dirle che sensazione provo, raccontarle la mia ansia se vado fuori e ho paura di sentirmi male, ma lei potrà solo intuire ciò che provo, lui lo sa, ne ha esperienza”.

Da lì ho pensato sempre più spesso a questa cosa, perché non farvi conoscere? Cosa succederebbe se vi mettessi insieme a parlare, a conoscervi, a diventare un gruppo di amici che cercano insieme di trovare soluzioni? Così è nato un po’ per gioco il gruppo Motta caput mundi, così è nata la nostra associazione, l’Ass. Pazienti BPCO Motta di Livenza, così siamo diventati un gruppo di amici che si sostengono a vicenda, che ridono, che lottano, che soffrono, che sono in grado di tirare fuori una grande grinta e una grande saggezza.

Ho ascoltato tante storie, vite strabilianti o dignitosamente semplici fatte di tanto lavoro, mi hanno affascinato dalla prima all’ultima e ho sempre pensato di essere veramente molto fortunata per averle potute ascoltare e che questa fortuna merita voce.

Abbiamo tutti una storia da raccontare: la mia storia parla di voi perché il momento in cui ho conosciuto ognuno di voi è stato un momento che ricordo, di cui faccio tesoro, che mi ha reso un medico e una persona migliore.

Maddalena Chizzolini

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